Happiness at work. Il Welfare Aziendale dopo Covid-19: esercizio di stile o policy change?

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by Tiziana Gatto*, Italian, exclusive for thediagonales

È azzardato dire che il Welfare Aziendale può essere una leva anticiclica per l’intero sistema paese?

Iniziamo da una modesta proposta: considerare la pandemia del Covid-19 un esempio e un’occasione. Essa è un buon esempio di quello che nell’analisi delle politiche pubbliche è chiamato “focusing event”, un evento improvviso e dannoso che forza opinione pubblica e decisori politici a inserire nell’agenda istituzionale temi che altrimenti non vi sarebbero entrati. Pertanto è anche un’occasione di superamento di inerzie istituzionali e resistenze al cambiamento, un’opportunità di cambio di policy.

Sempre che ciò avvenga.

La politica sanitaria è ovviamente la prima ad essere chiamata in causa ed a cascata anche altri temi fondamentali per il sistema delle politiche sociali del nostro paese, rispetto al quale si sono messi in evidenza quelli che in questi giorni sono stati nominati come i nervi scoperti del “welfare state”: le politiche del lavoro, le politiche di sostegno al reddito, infine, si fa per dire, le politiche familiari.

Occuparsi di Welfare Aziendale in un quadro simile, potrebbe sembrare pertanto un puro esercizio di stile da parte di nuove culture manageriali. Ed è evidente e chiaro, anche a chi scrive, che sarà il Welfare dello Stato e le misure di intervento strutturali di investimento a dare stabilità al sistema sociale.

Pure il tema del lavoro sarà un grande banco di prova, volano di ripresa e crescita, occasione di rilancio individuale e collettivo, della classe lavoratrice e del sistema paese.

In questo quadro dunque appare utile porsi domande e riflessioni sulla funzione che il Welfare Aziendale può svolgere dopo la pandemia. Se esso può rappresentare un sostegno importante per imprese e lavoratori o se esso va invece considerato solo un lusso, ammennicolo di poca importanza, questione accessoria e non di sostanza. 

La risposta sarà importante e, azzardiamo ancora, lo sarà per l’intero sistema paese.

Andrea Canonico, Head of Flexible Benefits & Network di Aon, così risponde a We-Welfare, sito web dedicato al welfare integrativo, circa il ruolo del Welfare Aziendale dopo la crisi:

“Storicamente il welfare, in particolar modo quello aziendale, è sempre stato un acceleratore post crisi, sia per le aziende che per i dipendenti, e ci auguriamo che sia così anche all’indomani di questa emergenza. In un contesto di mercato in cui domina l’eterogeneità e la diversa natura dei soggetti, ci auspichiamo che le iniziative di welfare non siano più solo degli interventi spot o diffusi a macchia di leopardo, ma che il welfare possa diventare una componente fissa, uno strumento quasi obbligatorio a disposizione di tutti i dipendenti delle aziende italiane. A ciò aggiungo anche un’altra considerazione più ampia: in tutte le ripartenze il welfare sociale, inteso come il welfare pubblico, tende a venir meno, dal momento che non è in grado di soddisfare tutte le richieste. Per questo motivo viene dato alle aziende l’onere, e onore, di supportare e sostenere il welfare. Nel prossimo biennio il welfare sociale non riuscirà a tenere il passo a tutte le istanze che riceverà. Dunque è auspicabile dare forza al welfare aziendale, affinché questo possa essere di sostegno al potere d’acquisto delle persone e delle famiglie.”

Il Welfare Aziendale può dunque svolgere una importante funzione di ripresa, una leva anticiclica, a patto che esso venga pensato in un’ottica sistemica di interventi e che se ne ridisegni il profilo.

Il ricorso massiccio allo smart-working ce lo dice: non è lo stesso welfare aziendale della situazione ordinaria ma un welfare “di crisi”. Un Welfare che non può più contare solo sulla distribuzione di benefit ma sulla condivisione di servizi essenziali per governare momenti di fuoriuscita graduale dal lockdown. Prevenendone e prevedendone di eventuali futuri.

Cambiano i bisogni e le risposte devono essere specifiche secondo processi di auditing.

Non ci si scandalizzi se in tempi di coronavirus ciò che occorre offrire sono attività leisure on demand, come gli abbonamenti alle tv a pagamento, alle piattaforme interattive, ai percorsi benessere e all’attività fisica da svolgere da casa. Ma anche offerte di supporto psicologico o di disbrigo di pratiche economico-amministrative, come la compilazione della modulistica 730 o come la richiesta di finanziamenti e di ammortizzatori sociali.

Il legame con il territorio va mantenuto, rinsaldato, in un’ottica di sviluppo di Welfare territoriale e di comunità, ma anch’esso abbisogna di ridefinizioni post crisi. Il “welfare di prossimità” varipensato in termini di offerta di servizi più on demand e on line, dal momento che molte attività commerciali e di servizio sono chiuse per il lockdown.

In quest’ottica di ripensamento scriveEmmanuele Massagli di Aiwa:

Maggiore spazio è possibile che venga guadagnato dalle soluzioni di assistenza sanitaria… prevedendo assicurazioni specifiche per l’eventualità di contagio, dalle misure per la cura dei figli (oltre al pagamento dei servizi di babysitting perché non comprendere nella integrazione alle misure educative, soluzioni culturali e ricreative a distanza?), alle somme per il rimborso delle spese sostenute per la cura degli anziani e delle persone non autosufficienti, dalle polizze LTC e dai buoni multiservizi utili all’acquisto dei beni di prima necessità nelle attività distributive rimaste aperte“.

Ed ancora rispetto allo smart working scrive: “Ancor più sfidante, se possibile, è la condizione dei tanti smartworker forzati che da un giorno con l’altro, senza che l’organizzazione aziendale fosse pronta e sovente senza una strumentazione adeguata, si sono ritrovati a dover garantire il proprio servizio in una condizione tutt’altro che ovvia in termini di stress e di conciliazione (a riprova che la conciliazione vita professionale-vita privata è molto di più che ‘stare a casa’)”.

Confermo, a livello professionale e personale. Ed aggiungo: strumentazione tecnologica e culturale. Lo smart working infatti è uno strumento di conciliazione che comporta una flessibilizzazione degli orari e degli spazi di lavoro che va precedentemente accompagnata da apposita formazione rivolta sial al management per il cambiamento culturale che esso porta con sé, sia ai lavoratori e alle lavoratrici che devono acquisire non solo competenze digitali ma anche di collaborazione, integrazione e condivisione dei contenuti del lavoro.

Illuminante e innovativa è la chiusa di Massagli nel suo articolo, che invito a leggere:

“[credo che] il welfare aziendale non solo possa rivelarsi utile per la fidelizzazione e il riconoscimento dell’impegno dei singoli lavoratori (come accade usualmente), ma anche per il Sistema Paese, associando al suo oramai consolidato ruolo sociale anche un nuovo compito, mai indagato in precedenza: il servizio alla diffusione di politiche economiche selettive, volte al sostegno dei settori più colpiti dalla crisi. Lo Stato potrebbe allora trovare nel welfare aziendale un potente alleato (finanziato dal privato e non con il bilancio pubblico) per l’incoraggiamento delle vacanze sul territorio italiano quando finirà la crisi (vanno in questa direzione le proposte di ritorno ai “buoni vacanze” già conosciuti in passato), per la diffusione di più moderne forme assistenza sanitaria con funzioni di monitoraggio delle malattie virali, per l’alfabetizzazione tecnologica dei lavoratori. Sono solo alcuni esempi, ma è bene accorgersi che nella cassetta degli attrezzi delle imprese è già presente uno strumento prezioso per la ripresa non solo delle singole azienda, ma dell’intera nostra economia“.

Spetta dunque al sistema integrato di pubblico, aziende e territorio decidere se trasformare questa occasione drammatica nella leva di un auspicabile policy change, lasciando a ben altre salottiere occasioni gli esercizi di stile. 


*Tiziana Gatto, Italian, Graduated in Educational Sciences with two specializations: Master for Managers of Social Enterprises and Master on Family Policy Management. Decades of experience in the management coordination of conciliation services, she has worked as a consultant at national level for the start-up of innovative services for children. Competent in the themes of Work-Life Balance, she has brought this commitment both in the field of Equal Opportunities planning and in the field of adult education, developing an increasingly integrated and systemic vision of Company Welfare, Well-Being and Welfare Community policies oriented to the development of both companies and the territory. Consultant for the company certification Family Audit.