L’estrema destra in America Latina: c’era una volta nel West…

Osservazione essenziale: la progressione (o il ritorno) dell’estrema destra in America Latina non può essere disgiunta dalla progressione dell’estrema destra nel mondo, in forme ovviamente diverse a seconda del paese.

Difficoltà fondamentale: ha senso cercare di definire l’estrema destra su scala continentale? Potere assoluto? Violenza? Autoritarismo? Negazione dell’Altro? Razzismo? O semplicemente il ritiro della democrazia? Alcuni sosterranno che le regole del gioco democratico non possono durare per sempre, e che le rapide trasformazioni odierne in campo economico e sociale, ecologico, militare, bancario e in altri campi portano inevitabilmente ad aggiornamenti. Ci portano inevitabilmente verso un potere più forte? Chi obietterebbe oggi che i media non sono un quarto potere, dopo l’Esecutivo, il Legislativo e la Magistratura? Mentre il buon vecchio equilibrio di questi ultimi tre, sognato fin da Montesquieu e costruito nel XIX secolo, non regge più di fronte all’onnipotenza del capitalismo finanziario, che controlla l’economia e le comunicazioni.

Ovunque nel mondo assistiamo a un rafforzamento del potere politico istituzionale a scapito delle esigenze democratiche. Negli Stati Uniti, Donald Trump sfida impunemente il Congresso. In Russia come in Cina, Putin e Xi si stanno dando i mezzi legali per rimanere al potere a tempo indeterminato. E in Francia? La convivenza tra Mitterrand-Chirac, Mitterrand-Balladur, Chirac-Jospin potrebbe sembrare la fine della fine della democrazia formale. Hanno portato alla confusione tra destra e sinistra, all’immobilità e alla riduzione del mandato presidenziale, ritenuta inopportuna. Con Macron, il potere politico si è dato uno spazio libero di manovra, impensabile nel 1968.

Qui come altrove, mentre una parte della popolazione protesta, o addirittura si solleva, una base di circa un terzo dell’elettorato si presenta come un incrollabile sostenitore dell’ordine. Nei Paesi ricchi si tratta di difendere ciò che è stato raggiunto, un tenore di vita superiore a quello delle generazioni precedenti, di proteggersi dalla violenza quotidiana che la televisione ci porta: guerre interminabili, catastrofi naturali, crimini, ognuno più ripugnante dell’altro (in passato non si osava parlare di stupro: gli abusi intrafamiliari sono stati censurati dalla stampa francese fino agli anni Ottanta). In altri paesi, che ricevono gli stessi messaggi dai media, c’è anche il timore che “i poveri” si prendano una parte maggiore della torta: nuovi diritti, assistenza sociale, accesso all’istruzione, salute (?), uso delle nostre strutture per il tempo libero… Chi ricorda che nel 1936, la destra protestava contro l’invasione delle nostre spiagge da parte di orde di ciclisti durante le loro vacanze pagate? È la stessa cosa a Copacabana, dove la “brava gente a tutti gli effetti” denuncia la demagogia dell’installazione di linee di trasporto pubblico che rendono il mare accessibile alle favelas.

La progressione dell’estrema destra in America Latina può facilmente apparire come un pendolo che oscilla all’indietro: dopo che i governi sensibili a diffondere un po’ più uniformemente la prosperità degli anni del boom, i gelosi, gli invidiosi e gli stessi beneficiari di queste disposizioni chiedono ora un potere forte che impedisca che queste riforme (timide o profonde) conducano a uno sconvolgimento dello status quo sociale. E allora di quei paesi che non hanno mai conosciuto la rivoluzione? Prendiamo il Brasile. Sono stati gli schiavisti, vittime della soppressione della schiavitù, a rovesciare l’Impero e a fondare una Repubblica reazionaria. O la Colombia, l’unico Paese dell’America Latina dove le guerre civili tra liberali (borghesia mercantile, intellettuali, liberi pensatori…) e conservatori (proprietari terrieri, nostalgici della corona spagnola, cattolici tradizionalisti…) sono state vinte dai conservatori. E Argentina o Cile? Chi ha fatto del massacro degli indiani una politica nazionale?

Su un terreno così fertile, l’estrema destra non poteva che crescere e prosperare. Non è mai scomparsa.

Pochi sanno che negli anni Sessanta l’arcivescovado di Bogotá pubblicava i discorsi di Goebbels per alimentare le prediche dei preti di campagna. Che la Chiesa di Franco ha mandato i suoi migliori missionari per diffondere la buona parola: come eliminare i rossi. Che la maggior parte dei grandi scrittori latinoamericani, fino a Neruda incluso, sono stati costretti all’esilio in Europa o in Nord America. Che l’Esercito rimanga il riferimento primordiale dell’ordine, e obbedisca alla prima virtù. Che nessun paese latinoamericano nel XX secolo è sfuggito a una dittatura militare. L’Esercito è quindi un pezzo essenziale della destra sulla scacchiera politica, come si vede oggi in Brasile; è ancora costituzionalista in Venezuela.
Fino a quando?

Nella vita di tutti i giorni, nozioni come “volontà generale“, “bene pubblico“, “sovranità nazionale“, non sono in uso. L’unica cosa che conta è il successo economico di ogni individuo. Non importa da dove viene: rubare allo Stato, uccidere il vicino, praticare la corruzione su larga scala… Chi non ha sentito un erede mafioso dichiarare, con una bomba nel petto: “Mio padre era un audace uomo d’affari”.

È chiaro che ciò che favorisce l’estrema destra è la mancanza di rispetto per la legge. Non che non esista: con il legalismo spagnolo, l’America Latina ha un impressionante arsenale di testi giuridici. Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Venezuela sono in lizza per le Costituzioni più avanzate, moderne e notevoli. Vengono applicate?

È la legge dell’Occidente! Che vinca il più forte! La palla, la Bibbia e il bue! E se siete convinti che il Signore vi ha scelto per ricevere le sue benedizioni, allora votate Bolsonaro!


Gérard Fenoy, Normale Sup’, Prof. d’Université en Histoire et Sciences Po,  Inspecteur de la Jeunesse & des Sports,  Directeur de la Jeunesse et de l’Education Populaire pour Paris et sa région, 40 ans de militantisme à France Amérique Latine, dont 15 comme secrétaire général, passionné de littérature et de musique, promoteur de l’Europe auprès des jeunes défavorisés (migrants, minorités, handicapés…).