Alberto Arbasino: il diritto in diagonale

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by Domenico Bilotti *, Italy  –  

Alberto Arbasino (1930-2020) è stato uno dei più importanti autori italiani del XX e, a quanto pubblicato nel primo spicchio del terzo millennio, del XXI secolo. Nonostante un’opinione pubblica giustificabilmente affaccendata in ben altri patemi, i media che hanno dato conto del trapasso dell’A. sono stati quasi universalmente elogiativi, a rimarcarne i meriti di intensità, prolificità, durata e sperimentazione stilistica. È stato, perciò, facile che arrivasse ad avere una buona concezione di Arbasino anche chi, prima della sua scomparsa, non avesse idea di chi fosse o di cosa avesse scritto. È giusto provare allora ad aggiungere qualche elemento che ricostruisca in modo più veridico il profilo intellettuale dello scrittore e ci consenta magari di coglierne gli aspetti di rilevanza anche nelle contingenze odierne e nell’attuale composizione della società e della cultura in Italia.

Pochi rammentano che Arbasino fu un giurista di formazione, un disciplinato e metodologicamente assennato assistente di area internazionalistica e comparatistica. Frequentava, difatti, per servizio accademico, tanto il diritto internazionale privato quanto quello pubblico. In ciò favorito dall’originaria propensione alle carriere diplomatiche e dallo sguardo attento, nel pieno dell’Italia non certo avveniristica degli anni Cinquanta, alle cronache estere. In Italia la politica estera è stata spesso un capitolo esotico, poco idoneo a muovere i consensi su scala europea. E invece dovremmo perlomeno riscoprire i tempi in cui formarsi anche su quello che succedeva fuori dai confini era un formidabile ascensore sociale, oltre che un preliminare segno di consapevolezza ancor più netto e profondo.

Da cultore di temi privatistici e comparatistici, aveva bazzicato persino l’argomento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, la cui maggior singolarità per i giuristi che si occupano di giurisdizione e processo è il dover preliminarmente configurare l’ordinamento ecclesiale non come interno allo Stato, ma come terzo rispetto allo Stato.

Promosse e frequentò inoltre il Gruppo 63, coraggioso tentativo di seminagione per nuovi linguaggi nella cultura italiana. Come nota Arbasino, in polemica in parte tanto con Umberto Eco quanto col Fellini che affresca il glamour perduto della dolcevita romana, non erano outsider: erano linguisti, giornalisti, intellettuali con una formazione molto ampia, persino troppo erudita; nessuna boheme posticcia, nessuna concessione al “come eravamo”. Di quel gruppo, anzi, Arbasino fu forse tra i meno schierati nel contesto sociale di quello e del decennio successivo: c’erano, a guidare la parte più irrequieta e intellettualmente feconda e conflittuale del movimento letterario, il funambolico Nanni Balestrini e il marxista bon-vivant Edoardo Sanguineti. Balestrini seppe, in diagonale anche lui, presentire i movimenti di contestazione al senso comune, eppure in quelle stesse maglie tutti immersi, tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima dei Novanta: l’autonomia operaia, il riflusso degli Ottanta, le esperienze aggregative persino degli ultras di calcio. Edoardo Sanguineti fu invece portatore di una ricerca linguistica e di una costante alternativa di pensiero che, al netto di posizioni persino compiaciutamente anticonvenzionalistiche, onorarono la cultura italiana.

Il Gruppo 63 aveva dalla propria un tempo in cui il diritto e la letteratura riuscivano a guardarsi senza bisogno di convegni. I letterati, anche talvolta provenienti da studi giuridici, si ponevano costantemente il problema dell’elusione della catena di comando, di astrazione dalle strettoie paternalistiche dello Stato assistenziale e di superamento dello Stato apparato: non solo o non tanto con le sue istituzioni totali, ma già a partire dai temi, dai valori, dalle categorie di pensiero, che quello introiettava nel proprio seno (un “seno velenoso”, per i Nostri). E i giuristi, persino quelli di più assorbente caratterizzazione forense, sentivano la necessità oggettiva del contatto qualificato coi saperi umanistici, anche quando fossero stati nell’esercizio delle proprie funzioni tra i più intransigenti giuspositivisti. C’era, insomma, cultura, cultura comune; con tutte le sue ipocrisie e tutti i suoi dissidenti, con tutte le sue convenienze e con tutte le sue connivenze, era una cultura che riusciva minimamente a qualificare una sua classe dirigente. Oggi non sappiamo sia sempre così anzi più spesso lo escludiamo: e non perché anche ieri mancassero le stragi, gli insabbiamenti, i toni propagandistici, i presunti pugni di ferro, usati sempre e solo per la categoria etologica prima che legale del “nemico”.

Arbasino, a conferma della sua refrattarietà a farsi incanalare in una divisa ufficiale o in un’uniforme del pensiero, fu particolarmente prolifico come autore di viaggio. Anche lì si colgono i suoi studi linguistici e giuridici: dei posti che affresca, dalla scintillante e malinconica Argentina fino alla più nebbiosa provincia italiana, mette in rilievo le cadenze, le parlate, gli idioletti, e ovviamente gli usi, le consuetudini e le percezioni di obbligatorietà sociale.

Si cimentò addirittura col rap, col volume “Rap!” edito da Feltrinelli nel 2001. Le sue strofe ridondanti, incalzanti quanto tuttavia barocche, sono in fondo spesso componimenti moralistici, come moralista era certamente il suo romanzo più celebre, “Fratelli d’Italia”(pubblicato in quattro versioni e per tre editori diversi dal 1963 al 1993). Eppure, nemmeno agli sperimenti in rap si può togliere il merito di una profondissima elaborazione e fluidità metriche. Quel moralismo aveva il bisturi dell’ironia e anche se la parola era eccessiva, espressionista, esplosiva … era un moralismo con un metodo e una lucidità intrinseci – come dimostrano i tanti saggi storico-critici e critico-letterari. In diagonale a se stesso, Arbasino praticava il decoro pedagogico della tradizione gius-illuministica lombarda con la studiata antipatia di ogni acida Cassandra che vede i mondi vecchi andare a fuoco.

      • Domenico Bilotti collaborate with “The diagonales”.  He is adjoint professor of “History of Religions” at the Magna Graecia University of Catanzaro (South Italy) and holder of courses at the Master’s in “Cultural Heritage and Ecclesiastical Heritage” of the same university. The rest of the time he observes, reads, travels, attends soccer stadiums.