CINEMA e DESIDERIO La scabrosa mutazione: il corpo transitato da soggetto a simulacro biologico

by Ivan Bissoli, Italy – The diagonales

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Nella distopica realtà della serie tv anime Ergo Proxy, il mondo ormai è al collasso, l’umanità è costretta a vivere in alcune città-cupola dove tutto è artificiale, ovattato, alterato. Romdo è una di esse, ma ne esistono altre sparse per la terra. L’unico credo è il consumo e l’appagamento dei propri bisogni: l’estremizzazione capitalistica sul piano economico e sociale. D’altro canto, incapace a gestirsi e a condurre una vita autonoma, apatico e senza mordente, perennemente stanco e in preda all’ozio, è stato assegnato ad ogni essere umano quello che viene definito un AutoReiv, un androide programmato per correggere gli eccessi emotivi, equilibrare la sfera interiore e incentivare, come se ce ne fosse bisogno quella del possesso: un’estensione fisica e mentale dell’uomo.

1.

“Il cinema è l’arte perversa per eccellenza. Non ti da quello che desideri, ti dice come desiderare”. Il filosofo sloveno Slavoj Zizek, esordisce così nel suo docufilm The Pervert’s Guide to Cinema  accompagnando lo spettatore attraverso dei veri e propri set cinematografici all’interno di alcuni tra i più importanti film della cinematografia mondiale. Il cinema diventa quindi un mezzo che  consente di arrivare a quello che razionalmente vediamo ed inconsciamente desideriamo, quella finzione che ci attrae verso l’universo che ci viene mostrato. Senza dubbio, una delle forme di astrazione più grandi sarebbe vedere la televisione che si materializza nel salotto di casa; anche solo immaginare che possa realizzarsi, possa prendere forma quello che viene proiettato è sicuramente una suggestione inconscia di elevatissimo valore. Già David Cronenberg con Videodrome (1983), nelle sequenze di scene riprodotte ciclicamente di torture, sevizie e mutilazioni trasmesse clandestinamente da un emittente privato, ci proietta in questa dimensione extracorporea che si materializza nello spettatore come una nuova diegesi, come un intreccio strutturale dove vengono dislocate le nuove frontiere della materia. E’ l’ossessione che genera quello scontro fisico comunque desiderato in direzione di questa nuova concezione: perché se da un lato squisitamente estetico, le scene di forte impatto visivo destabilizzano a livello emotivo il quotidiano opacizzato e fuorviato, nascosto dietro sovrastrutture culturali di stampo occidentalizzante, dall’altro lato comunque impongono una ridefinizione, anche se parziale, dello spazio di visione e percezione della realtà.

E’ reale, sempre che questa espressione abbia ancora oggi una valenza oggettiva, una definizione che potrebbe essere persino riduttiva, perché se è vero che il film si colloca all’interno del percorso del regista in un linguaggio di notevole livello idiomatico permeato di eccessi, degenerazioni e orrori di ogni forma, l’espressione che si interseca nel pensiero di fusione di riflessione sulla carne, sulla trasformazione del corpo, sulla sua metamorfosi psico-fisica come specchio dei cambiamenti sociali, è altrettanto vero che quell’orizzonte si espande notevolmente in direzione della proliferazione di questo mezzo nella società. Cronenberg profetizza figurativamente una fusione simbolica dai considerevoli connotati: la tv come estensione del sistema nervoso umano, una connessione neuronale diretta, una congiunzione fisica indissolubile ed eterea che si farà strada nello stesso regista canadese amplificandone i connotati visivi ed espressivi e soprattutto sociali nel lungometraggio Existenz (1999). Il contatto diventa esplicitamente fisico, ed il collegamento tra il corpo e il dispositivo che proietta la persona nella nuova realtà, avviene tramite un cavo di tessuto biologico di chiaro riferimento al cordone ombelicale, collegato dal midollo spinale del giocatore ad un organismo vivente amorfo denominato POD. Lo strumento che consente di varcare quel confine diventa estensione simbolica del concetto di realtà nella figurazione del soggetto nella nuova dimensione; il dispositivo anche se non visibile, non trasportato materialmente, varca egli stesso figurativamente lo spazio, e da semplice mezzo per oltrepassare quel limite ne acquisisce la connotazione simbolica di un nuovo soggetto nella nuova realtà.

La visione articola il pensiero, crea un nuovo linguaggio, una nuova dialettica, che si concentra nella sua interezza nello sguardo. È la sua genesi: “gloria e vita alla nuova carne” recitava e ripeteva ossessivamente Max Renn in Videodrome. La materia ha ormai oltrepassato l’immagine, l’argomentazione sulla quale si strutturava il concetto di visione fuoriesce dallo schema prestabilito. Lo schermo diventa il vero unico occhio della mente umana, metaforicamente un terzo occhio con le funzioni di portale percettivo; esso è quindi organo visivo ed anche sensoriale, ha proprietà di ricettore delle informazioni e ne amplifica il significato, come quel Kino che già nel cinema d’avanguardia russa post Prima Guerra Mondiale aveva acquisito un notevole peso. L’estensione della realtà diventa il mezzo attraverso il quale si plasma la nuova idea di supporto, si teorizza e si colloca nello spazio di sostegno sensoriale nella raffigurazione e nell’estensione dell’uomo espressione del peso della contemporaneità. Il delirio del protagonista è tutto visivo: la mano che diventa oggetto-strumento plasmandosi a forma di arma da fuoco, o le ormai obsolete vhs che violano il corpo stesso dilaniandolo e riducendolo a semplice agglomerato di tessuti; mescolare appunto sangue, organi, tessuto umano con la plastica, portare all’estremo il contatto a tal punto da fonderle e generarne una. Tutto quello che ci viene mostrato è semplicemente un mezzo tramite il quale noi e la realtà circostante ci fondiamo; quindi se apparentemente genera quello stato di aberrazione, di rifiuto della visione, di difficoltà a collocare questo significato del corpo nell’idea del normale, in realtà ne è la consacrazione definitiva di quell’estensione verso il nuovo soggetto, verso un nuovo linguaggio: ridefinito dunque e ricreato non sulla struttura obsoleta esistente ma nella direzione di una nuova rappresentazione. Quel che resta è una immagine residua di sé di Matrixiana memoria, una forma definita appunto come proiezione mentale del tuo io digitale, uno sciame di stimoli neuronali indotti da una bolla iperreale che legava le persone svuotandone di significato i corpi, e popolando le loro menti di eventi ciclici e schematici.

2.

La distruzione e lo smembramento del corpo, letteralmente eroso nelle sue parti, ormai forgiato in un nuovo involucro; ridefinita la sua immagine in una nuova forma-struttura, in un ibrido fisico-percettivo generato dalla manipolazione sensoriale e materiale, anche nella nuova concezione del pensiero mutano le rappresentazioni della nostra civiltà. La guerra ad esempio, non è più un profilo atto a generare un comune contrasto-conflitto tra nazioni, assume connotati oltre il soggetto della contesa uscendo dalla dimensione corporea della scena, e il corpo all’interno di esso si esula ad essere semplice obiettivo del conflitto stesso. Una nuova articolazione del concetto di guerra è l’atmoterrorismo(Peter Sloterdijk Terrore nell’aria – Meltemi Editore – 2002), che ridefinisce le forma del terrore sociale e collettivo che ha come obiettivo l’atmosfera terrestre: traslare il potere del dominio quindi all’aria che ci circonda rendendola un involucro di costrizione ultra-terreno per il corpo umano, ed estendendo quindi l’area della manipolazione. Rendere l’aria insalubre è diventata la raffigurazione iconica dell’avvelenamento dell’ambiente che ci circonda: è questa l’estensione mutevole nella quale essa agisce, la nuova frontiera è quindi inglobarci all’interno di uno strato non visibile all’occhio ma sensorialmente presente. Portare all’estremo insomma un concetto che è esso stesso estremo nella sua natura, ma che appunto genera la creazione di questa nuova forma di potere che investe direttamente il vivente, che si prende carico della sua forma, della sua essenza, della sua struttura.

I segni, figure primordiali costituenti dense di significato, portano alla ridefinizione del soggetto e della realtà pre-costituita, e la storia intesa come ricordo simbolico acquisisce le sembianze di un moto incessante e informe che non esprime alcunché se non un passo verso tutto ciò che è divenuto finzione e simulazione. Ovvero, il mondo individualista e interattivo che si dissolve nella sua simulazione stessa e che ha trovato la propria esaltazione nella sostituzione del reale con l’hyper-reale. Nel primo episodio della seconda stagione della serie televisiva britannica Black Mirror (Be Right Back) ideata da Charlie Broker: Ash e Martha si trasferiscono in una nuova abitazione, ma il giorno successivo lui muore in un incidente stradale. Per cercare di alleviare le sofferenze per la scomparsa del compagno, a Martha le viene offerta la possibilità, tramite un nuovo programma, di comunicare con un software interattivo che attingendo dai dati personali acquisiti dai vari social network utilizzati in passato dal fidanzato, avrebbe simulato una conversazione attiva in tempo reale. Lei inizialmente rifiuta, ma in seguito, anche se con molto riserve accetta la proposta. Successivamente, le viene offerta la possibilità di poter conversare telefonicamente con un interlocutore virtuale in grado di ricreare perfettamente la voce del compagno. Ma quello che genererà la rottura con la realtà, il definitivo passaggio tra il reale e l’iper-reale, l’allocazione dei fatti nella nuova dimensione spazio-temporale, è il terzo step: Martha, distrutta dal dolore per la perdita e spinta dal desiderio irrefrenabile di riavere il suo compagno con se, accetta di ricevere a casa un clone identico nell’aspetto in grado di parlare e interagire con lei.

Slavoj Žižek, filosofo

Riprendendo il concetto di Zizek “il cinema ci dice non cosa desiderare ma come desiderare”: ecco la simulazione all’interno della finzione; lei sa cosa desidera, cosa vuole, ovvero che il compagno ritorni tra le sue braccia. Ovviamente, tutto ciò è razionalmente impossibile, irrealizzabile, in quanto Ash è morto, ma a Martha appunto le viene offerta la possibilità di stare ancora con lui, non con un semplice ricordo ma tramite un clone, un mezzo(fine) che possa alleviare le sue sofferenze. Il desiderio si realizza attraverso quella struttura figurativa che si genera e si materializza nella simulazione della narrazione all’interno della finzione stessa. Il clone ha la funzione di ricreare il legame fisico-emotivo; interrompe la sequenza e fa confluire la protagonista (e decisamente anche lo spettatore) in un incubo iperreale all’interno di questa nuova dimensione allegorica. Il dramma ha origine proprio quando inizia l’interazione: il desiderio si realizza, ma quello che ne scaturisce diventa in breve tempo la negazione del desiderio stesso. E’ come Marty Mcfly che in Ritorno al Futuro: Parte II, tornato nel futuro dopo aver modificato degli eventi nel passato, trova un mondo radicalmente cambiato da quello che aveva lasciato prima del viaggio. Per Marty quindi l’unica possibilità di ristabilire il naturale corso degli eventi è ritornare nel passato per ripristinare la normale linea temporale secondo lo schema narrativo del film; invece cosa tocca fare a Martha? Disfarsi del clone per uscire da quel legame simulato, da quella deformazione sensoriale che stava vivendo, accettando il dolore della perdita e il flusso naturale degli eventi. Sarà riuscita a disfarsi del clone? In fondo quel nuovo Ash cos’era, se non un involucro vuoto alimentato da un chip con ricordi, abitudini, gusti musicali. Un involucro appunto, che potrebbe diventare la nostra casa come profetizzato in Altered Carbon, dove tramite una pila corticale inserita nella colonna vertebrale in grado di immagazzinare qualsiasi cosa detta, qualsiasi ricordo, potremmo vivere per secoli o millenni, o addirittura in eterno (ovviamente soltanto per i più abbienti), utilizzando corpi sintetici come delle carcasse vuote, servirsene per qualche decennio per poi buttarle, rimanendo indifferenti a malattie, incidenti stradali, vecchiaia. Semplicemente “backuppando” tutto tramite la pila in un cloud in qualche nuova Aruba nella galassia, e nel momento dell’inutilizzo del corpo reinserire tutto in uno nuovo. Come dice Galimberti: “Questa è la sfida del corpo, una sfida che è già iniziata se c’è da dar credito a quello smarrimento generalizzato che lamenta la confusione dei valori, il loro crollo. Sono i primi effetti di quella violenza simbolica … che il codice mette in atto per mascherare la propria monarchia.” (Umberto Galimberti – Il Corpo 1983)  

Risorse

https://www.icrewplay.com/cosa-gli-anime

https://it.wikipedia.org/wiki/Ergo_Proxy

https://it.wikipedia.org/wiki/Slavoj_Zizek

https://www.staynerd.com/matrix-filosofia/

https://www.internazionale.it/tag/autori/slavoj-zizek

http://www.filosofico.net/filos59.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/David_Cronenberg

https://it.wikipedia.org/wiki/Videodrome

https://it.wikipedia.org/wiki/EXistenZ

https://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Baudrillard

https://it.wikipedia.org/wiki/Simulacri_e_simulazione

https://www.agoravox.it/Baudrillard-e-l-iperreale.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Sloterdijk

https://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_al_futuro_-_Parte_II

https://it.wikipedia.org/wiki/Black_Mirror_(serie_televisiva)

https://it.wikipedia.org/wiki/Altered_Carbon_(serie_televisiva)

https://www.filosofico.net/galimberti.htm