Il vuoto che riempie le teste. Socrate e le sfide della scuola oggi

by Demetra Barone, Italian, exclusive for The diagonales

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L’insegnamento di Socrate dentro e fuori la scuola di oggi

Il poeta tragico Agatone dà una festa per celebrare una sua vittoria teatrale.
Fra gli invitati ci sono Socrate e il suo discepolo Aristodemo. Dopo aver offerto del buon vino mielato, il padrone di casa chiede agli invitati di cosa vogliano discutere quella sera e uno di loro, Erissimaco, propone la discussione su Eros, ovvero sull’amore. Socrate arriva in ritardo al banchetto perché si è smarrito in un cortile dove la verità gli ha parlato, sulla porta c’è Agatone che lo aspetta con impazienza e gli chiede: “Voglio sederti vicino nel corso del banchetto perché in questo modo ti offrirò la mia testa come una coppa vuota e tu maestro verserai in questa coppa il sapere che la verità ti ha trasmesso”. Socrate risponde ad Agatone: “Io sono vuoto come te e come te desidero sapere”.

È l’apertura del Simposio di Platone e Socrate, che concluderà con il suo discorso il banchetto, ci parla di vuoto e di desiderio. Il vuoto è una mancanza e Socrate fa esperienza di una mancanza quando si relaziona a qualcuno che vuole apprendere da lui. Il desiderio è un atto erotico scatenato da questa mancanza.

Chi ama, ama ciò che ancora non possiede. L’amore non è pienezza, è povertà e rappresenta per ogni uomo lo slancio verso qualcosa di estraneo da sé.
La posizione di Socrate è la posizione di un maestro che decide di non riempire coppe vuote ma che si pone in una posizione disarmata, di povertà, rispetto al proprio allievo e in questa posizione disarmata trova l’amore necessario per creare una relazione di reciproco apprendimento.

Nella società globalizzata e complessa di oggi, dove la povertà e la mancanza sono viste come stati necessariamente negativi e dove il discorso sul desiderio è concentrato sempre più sull’oggetto dell’amore, l’amato, e poco su chi ama, l’amante, cosa succede ai maestri? Succede che i maestri rischiano ancora di riempire teste considerate vuote e soprattutto rischiano di non innamorarsi più di ciò che fanno a forza di riempire i vuoti altrui invece di accettare i propri e da quelli partire nell’esperienza dell’insegnamento.

È stato lo zoccolo duro della scuola da sempre. La pedagogia, insieme alla didattica, in modi diversi e con strumenti diversi, hanno fatto enormi passi avanti ai fini di creare un ambiente didattico ideale. Ma mentre tante conquiste sono state fatte e continuano ad essere fatte, subentrano nuovi problemi, a partire dalle solitudini, sociali o individuali, di chi vive dentro e fuori la scuola. È qui che le parole di Socrate diventano, anzi rimangono, dei moniti.

Se la tendenza sociale è all’omologazione, i maestri dovrebbero concentrarsi sulla diversità che popola la società. Partire da quanto non conoscono e innamorarsi delle diversità dei loro allievi, dell’insieme di conoscenze, capacità e sentimenti di questi ultimi. Dimostrare il loro interesse, che è amore, nei confronti delle storie personali degli studenti. Da qui raccontare quello che loro conoscono, iniziare a riempire i vuoti degli studenti mentre provano a riempire i propri vuoti. “Sono interessato a te”, forse questo vorrebbe sentirsi dire più spesso ogni studente, bambino giovane o adulto che sia.

Ma la cosa interessante è che anche al di fuori della scuola ci si ritrova di fronte a processi di insegnamento e apprendimento, anche se non strutturati e spesso casuali. Anche fuori della scuola ognuno di noi si trova di fronte all’esperienza del vuoto e della mancanza che scaturisce dal rapporto con la diversità, ovvero con ciò che non conosciamo o che non riusciamo a comprendere.
Di fronte a questa mancanza può nascere l’odio, che è l’atteggiamento di chi non accetta che il diverso metta in crisi le sue verità, o l’amore, l’eros, che è l’atteggiamento di chi accetta che il diverso metta in crisi le sue verità e desidera conoscere le verità dell’altro, non necessariamente rinunciando alle proprie, anzi parlando delle proprie verità all’altro.

Nel primo caso, è il caso dei razzisti, si vive una condizione di infelicità perenne perché non si riesce ad accettare la mancanza di solidità perduta.
Nel secondo caso, è il caso di chi accoglie e si relaziona, si vive una condizione di felicità, connessa all’aspirazione a conoscere.

Maestri per mestiere o no, dovremmo tutti porci nella condizione d’animo e di mente di Socrate, che povero e vuoto si dona all’altro e che in questa povertà trova il desiderio di insegnare e di apprendere.

Partire dal vuoto e dall’esperienza della mancanza, non farsi vincere da facili, e per questo manovrabili, paure, ma accettare le paure e superarle, ad esempio attraverso la curiosità, attraverso la voglia di conoscere e quindi trovare una soluzione umana alle paure.

Sono imperativi che ci impone la società, ponendoci ogni giorno di fronte alla diversità, anche quando non siamo noi a cercarla.


Demetra Barone, italiana, siciliana, è specializzata nel campo delle scienze del linguaggio umano, nelle sue articolazioni e nei suoi usi, in particolar modo in ambito didattico e glottodidattico. Attualmente docente di Lettere e Italiano come lingua seconda nella scuola secondaria, si occupa di istruzione degli adulti in ambito scolastico e accademico. Viaggiatrice appassionata. Impegnata nel creare ogni giorno una società della conoscenza critica e del dialogo tra le diversità.