Nuove famiglie, nuove compagnie

by Leslie Leonelli, exclusive for The diagonales

ARoma o a Parigi a New York o Shanghai, dopo i 40 anni, incontro sempre più spesso gente ri-accoppiata, ri-sposata, coppie omosessuali che sperano di sposarsi tra loro, famiglie di etnie diverse, eppoi anche un numero crescente di famiglie con figli adottati o affidati, o famiglie nucleari che non corrispondono però ai modelli tradizionali più radicati. Per uscire dalla solitudine, la maggior parte desidera ri-creare la coppia. Ma è un desiderio spesso stereotipo coltivato dal mito dell’innamoramento.
Alla famiglia nucleare si affianca sempre più la famiglia multinucleare che è una famiglia composta da più nuclei, con delle risorse in più rispetto a quella nucleare; un aspetto poco contemplato da psicologi il più del tempo molto conformisti.
Sia che si formi a seguito del divorzio, sia che si formi a seguito della morte di un partner, l’unione successiva non sostituisce e non cancella l’unione precedente, ma si può connettere ad essa.

La mia amica Marina, a 50 anni, è ora sposata con una compagna, con la quale frequenta spesso i suoi due ex-mariti. La figlia del primo marito la chiama “zia”: “Per me gli ex sono la mia famiglia più stretta, ci ho dormito tanti anni e li conosco più di quanto conosca mio fratello”.
Marina, una donna di straordinaria affettuosità, generosità e buon umore, è una di quelle persone che rende movimentato il paesaggio della vita quotidiana, come i monti e le colline. 

Ci sono poi le famiglie con figli di lui-lei del primo matrimonio, di lei-lui del secondo e l’ultimo in comune.
Ci sono anche soluzioni senza separazioni o divorzi: semplicemente funzioni di “nuove zie”.
Due note psicologhe romane hanno allevato insieme, nella stessa grande casa, la figlia di una di loro, il cui marito lavorava e stava per lo più in giro per il mondo.

In molte famiglie non sono più gli adulti a sostenere i vecchi genitori, ma sono proprio gli anziani, con il loro tempo libero da baby sitter e con le loro pensioni a sostenere le famiglie dei figli e dei nipoti.
Siamo cioè ai “nuovi nonni”.  

Mara ha lasciato il lavoro di segretaria per fare la baby sitter alla nipote.
“Mia figlia mi paga così io ho potuto lasciare il lavoro e godermi la mia nipotina”.

Giada è cresciuta in Danimarca senza un rapporto fisso. Lì ha avuto una bambina senza un compagno fisso. Poiché si sentiva sola dopo la separazione, è venuta ad abitare a Roma con la figlioletta nella grande casa della zia, ben contenta di vederla crescere. 

Il desiderio di avere vicino cuccioli, di crearsi un nucleo di affini, per non dire parenti, coinvolge molti.
Anche quelli che la società giudica in genere “diversi” hanno questo desiderio di creare un clan, una sorta di famiglia e di farne parte.

Un travestito, che abita nel mio condominio, ha adottato un suo ex più giovane, la di lui moglie e il loro bebè dicendomi: “Tanto a chi mai dovrei lasciare le mie cose?”

Eppure situazioni familiari come questa sono ancora trattate dalla psicologia come eccezioni, e molti psicoterapeuti della famiglia considerano queste cosiddette “nuove famiglie” come “diverse” e trattate come forme deficitarie o devianti.

Gli ultimi decenni è diventato sempre più chiaro che all’interno della stessa società coesistono diverse forme di aggregazioni e convivenze, di famiglie; eppure nell’immaginario nutrito dalla pubblicità televisiva, la famiglia è ancora vista col babbo, la mamma, e uno o due figli. Verso Natale e per pochi, si aggiungono dei nonni. Ma in genere la “normalità” è solo la famiglia giovane e con figli propri. Il rapporto tra famiglia e televisione è sempre più distorto. 

La televisione tende a proporci: o le famiglia più tradizionali, oppure quelle più patologiche: sfasciate, disperate e piene di conflitti. Sono modelli estremi, realtà falsificate che non ci aiutano a vivere nelle nostre esperienze affettive più diversificate. Liberiamocene perché ci fanno solo sentire a disagio perché imperfett*, oppure “divers*”.

Sposarsi e stare insieme per sempre è utile a molte e a molti, ma spesso non funziona affatto.
Il divorzio non significa un fallimento, così come vivere senza un partner non corrisponde a vivere in solitudine.
Quando mi sono laureata sostenevo che le donne devono saper vivere da sole. Da accoppiate molte di noi finivamo (e ancora può succedere) di spalmarci sui bisogni della famiglia, occupandoci del cibo, della casa, di farlo stare bene, di curare gli altri mettendo in secondo piano i nostri obiettivi e bisogni.
Ma se la vita da single è affettivamente molto più ricca e variegata di tante coppie sposate, con il tempo che passa è necessario progettare una vita in compagnia.

Gli uomini e soprattutto le donne (che vivono più a lungo) sono in costante aumento e costituiscono ormai una grossa percentuale della nostra società -per scelta o per  separazioni, divorzi e vedovanze- le donne e gli uomini che finiscono per vivere da soli, non sempre vengono visti positivamente. L’immagine idealizzata è ancora quella di Giulietta e Romeo, la coppia giovanissima dall’amore appassionato, censurando quanto quel tipo di amore li avesse portati alla morte. 

Al mondo ci sono altri esempi di nuove famiglie: quelle dei Co-housing o villaggi urbani, spazi privati, come piccoli appartamenti e spazi in comune: soggiorni, sale per bambini, biblioteche, ecc…
Eppoi famiglie tradizionali come in Tibet: le donne e gli uomini restano a vivere nella casa della madre, con visite notturne degli uomini, mentre i figli hanno come figura maschile quella del fratello della mamma mentre il padre biologico non è importante. 

Certo che bisogna imparare a dividere degli spazi, come succede ai conviventi, ha una capacità a comunicare, a mediare, a venirsi incontro che gli abitanti solitari, specie se sono figli unici, fanno fatica ad acquisire. Ma è un lavoro su di sé e uno sforzo che ne vale la pena. La vita assieme ci rende più ricchi, sia nel senso delle relazioni, che in senso economico perché possiamo pagare un aiuto domestico e dividere i servizi (come i conti di energia, lavanderia, internet, giornali, etc.).

Da qualche decennio sono sorti i co-housing, co-abitazioni di famiglie o singoli che usufruiscono di spazi privati, più piccoli, e molti spazi comuni: biblioteche, sale hobbies, sale da pranzo, ecc…
Una buona idea dove far crescere bambini e coabitare con gli anziani, a loro volta coinvolti nella vita senza essere reclusi nei ghetti delle residenze sanitarie protette, che spesso si rivelano lager dove invocare l’ultimo gradino.

Anche ai gatti più solitari piace dormire nei pressi di persone, non per ricevere coccole, ma perché così si sentono più al sicuro dai predatori. Siamo tutti animali sociali e la condivisione dello spazio crea quel branco che ci fa stare più sereni. Anche a questo servono le famiglie o i clan. A questo servono le aggregazioni.

Ma la convivenza implica un apprendimento minuzioso, e ne sono testimone perché a 30 anni mi ero vista avviata verso uno stato di acidità asociale, incapace di comunicare agli altri i miei disagi per poi accumulare rabbie e rotture di relazioni amicali o amorose. Perciò ho deciso di lavorare su di me, aiutata da molte nuove psicoterapie, sulle mie capacità di comunicazione, conoscere i miei confini e quelli altrui, sviluppare l’assertività e il pensiero positivo (intelligente).
Per non essere più né uno zerbino, né un porcospino.


Elisabetta Leslie Leonelli, è nata e cresciuta a Pesaro, laureata a Trento in Sociologia negli anni ruggenti, si è  poi dedicata alla Psicoterapia, l’Amorologia, e alle tecniche di Convivenza. Ha pubblicato saggi con Rizzoli, Mondadori, Garzanti e altri, tradotti quasi tutti in altre lingue, tra cui i famosi “Aldilà delle labbra (1985) e “Coccole e carezze” (2000). Ha fin ora tenuto corsi in varie Università, Valencia, Madrid, Roma, Modena e Arcavacata. Collaborazioni con Groupe de Recherche et d’Ètudes Créatives, Parigi e Createca in Italia con Hubert Jaoui.
Dal 1998 conduce incontri col Caffè Freud, da lei fondato che ha come obiettivo la “Convivenza” micro e macro. Dal 2007 al 2018 ha presieduto il Caffè Freud come club dotato di una propria casa in Roma dove vive. Tiene un blog su caffefreud.it.

Elisabetta Leslie Leonelli, born and raised in Pesaro, graduated in Sociology in Trento in the roaring years, then dedicated herself to Psychotherapy, Amorology, and Living Together techniques. She has published essays with Rizzoli, Mondadori, Garzanti and others, almost all translated into other languages, including the famous “Aldilà delle labbra (1985) and “Coccole e carezze” (2000).
She has so far held courses at various universities, Valencia, Madrid, Rome, Modena and Arcavacata. Collaborations with Groupe de Recherche et d’Études Créatives, Paris and Createca in Italy with Hubert Jaoui. Since 1998 she has been conducting meetings with the Caffè Freud, which she founded with the aim of “Living together” micro and macro. From 2007 to 2018 he chaired the Caffè Freud as a club with his own house in Rome where he lives. Keep a blog on caffefreud.it.