Arte & Comunità: la rivolta delle saracinesche

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by Domenico Bilotti, exclusive for The diagonales

Alcuni studi recenti nell’antropologia sociale, nel diritto pubblico e nella filosofia politica sono tornati a riflettere sulla nozione di “rivolta”, intesa a questi fini come atto intenzionale, come fatto oggettivo, come strategia di rivendicazione. 
Sul piano etimologico la rivolta contiene i significati del “rivolgere” (la dinamica in svolgimento in uno spazio, che avvicina alla prossimità) e del “rivolgersi” (anche la rivolta individuale apre un canale di relazione). 
Si tratta, a ben vedere, di una attitudine costitutiva della rivolta che rimanda persino più a Vico che a Camus, persino più alla teologia della liberazione che alla scienza politica laica. 

Quale che sia il corredo definizionale dal quale muoviamo, è quanto sta avvenendo nel centro storico di Cosenza, una vivace città del sud Italia nella regione della Calabria, da alcuni mesi. L’iniziativa in questione, assolutamente creativa e senza alcuna pretesa distruttiva, consiste nella decorazione, da parte di alcuni artisti, writers, pittori del capoluogo, giovani e meno giovani, delle saracinesche in disuso che da via Galeazzo di Tarsia a Corso Telesio rischiavano di rimanere il semplice tributo al decadimento della città vecchia. Murales, dediche e copertine di dischi, poesie, visioni e cartoon: un puzzle, caotico quanto si vuole, che si espande giorno per giorno. Il progetto, mano a mano in crescita, è nato su impulso del locale gruppo di ultrà del centro storico, ma è presto divenuto patrimonio condiviso degli occupanti del quartiere, delle numerose famiglie delle case vicine, degli attivisti degli spazi sociali. 

Già sul finire degli anni Novanta, le testate Le Monde e The Guardian avevano fatto partire un dibattito sulla scena controculturale in Italia, entrambe concludendone, pur con tutte le contraddizioni e involuzioni che sarebbero esplose nei decenni successivi, che gli ultras schierati su temi di solidarietà e cooperazione e gli antagonisti dei centri sociali autogestiti rappresentavano due riserve materiali e immateriali di un senso “contro”, di un senso “altro”, di un senso “oltre”. 

The Old Drunkards, Oltre ogni confine

Non è il caso di riprendere quel dibattito e i successivi sviluppi che ha avuto, anche nel diritto e nella sociologia, relativamente all’elaborazione di un percorso sui beni comuni, sulla loro protezione normativa, sulla loro qualificazione tecnica ed empirica, sul loro utilizzo immediatamente e inevitabilmente politico, sociale ed economico. Ci sembra più appropriato tornare al significato storico-legale della toponomastica urbana, così indicativo peraltro dei cicli demografici e dei processi cittadini di gentrificazione e periferizzazione.

Via Galeazzo di Tarsia, sede del gruppo, è la piccola venula che apre verso l’antico corso principale della città. In uno spazio di alcuni chilometri quadrati, in pieno centro storico, sino a meno di un cinquantennio addietro, esistevano istituti scolastici e attività commerciali, ritrovi artigiani e sedi di fiere e mercati, taverne e botteghe. Persino palazzo di giustizia era in fondo collocato sul Colle Triglio, sorta di parte alta, insieme a frazioni confinanti, della città vecchia. Lo svilimento del quartiere ha avuto molte, troppe, cause. Vi ha giocato un ruolo la dispersione scolastica; ha avuto un peso non indifferente l’incuria delle famiglie nobiliari che hanno sovente mancato nella manutenzione degli antichi palazzi signorili di loro originari proprietà e domicilio. E ancor più lo sgretolarsi del centro storico ha coinciso con la speculazione edilizia che ha proficuamente riguardato per decenni altri quartieri della città: il centro storico non è stato più, cioè, input della programmazione economica cittadina, ma crescente zavorra da trattare con oblio e disservizio. 

Gli “Old Drunkards” di “Cosenza Vecchia 1989” (questo il nome del gruppo) sono stati in prima linea anche su questo fronte. La città tutta ricorda la loro attiva partecipazione alle vertenze che hanno riguardato i lavoratori delle cooperative, la raccolta dell’immondizia, le forniture energetiche, la questione abitativa. 

Sarà forse per questo che tra i membri del gruppo vige un tumultuoso spirito di comunità radicato intorno però a singolari valori sostanziali: la disciplina nell’organizzare le spese comuni, la precisa intenzione di lasciare gli spazi esterni e interni in condizioni di decorosissima pulizia, il contrasto al parcheggio selvaggio quanto alle dipendenze. 

Oggi decine di saracinesche di stabili in disuso, garage e magazzini con l’attiva collaborazione dei proprietari o certo con il loro consenso, ospitano affreschi suburbani di sconfinata dolcezza e di sincera rabbia metropolitana. Pressoché ogni teca è dedicata a persone concrete della geografia affettiva locale: calciatori deceduti, folcloristici abitanti del quartiere legati a luoghi e ricordi, agitatori e musicisti, giovani prematuramente scomparsi in incidenti stradali o calamità naturali. 

I plessi in caduta libera rianimano di nuovo le proprie fondamenta con le radici più antiche e contemporanee di ogni tempo: le storie individuali che fanno il racconto collettivo. Se Walter Benjamin si pose il problema della riproducibilità dell’opera d’arte nell’età della tecnica, a Cosenza Vecchia oggi si trasforma in arte l’imprevedibile combinazione tra spazi in degrado e amore per la propria terra.

Arte fatta dalle mani di un popolo per preservarne il cuore e abbellirne in pienezza il vissuto. 


Domenico Bilotti collaborate with The diagonales.  He is adjoint professor of “History of Religions” at the Magna Graecia University of Catanzaro (South Italy) and holder of courses at the Master’s in “Cultural Heritage and Ecclesiastical Heritage” of the same university. The rest of the time he observes, reads, travels, attends soccer stadiums.