by Emanuela Ferreri, Italy exclusive for the diagonales –
L’epidemia come figura del disordine
Il riferimento della presente spigolatura è Georges Balandier (1988), Il disordine. Elogio del movimento, Dedalo. Bari, 1991 (traduzione italiana dell’originale francese: Le désordre). Colpo d’occhio sulla data originale del testo, tanto per cominciare. Quando scatta il conto alla rovescia sull’ultimo decennio d’un secolo, è facile che una delle più profonde tra le nostre predisposizioni umane prenda il sopravvento, spingendoci ad immaginare il futuro solo perché riteniamo di non avere abbastanza tempo presente di fronte a noi. Più o meno si tratta di ciò che con una parola, compromettente sia in termini ideologici che scientifici, si definisce “millenarismo”. Ma questa profonda preoccupazione umana può emergere ben aldilà o aldiquà di date divinate e passaggi ritualmente omaggiati. È possibile che ciò avvenga per una sorta di sconfinamento tra un ambito e l’altro del nostro vasto e intricato orizzonte culturale. L’ansia da fine del mondo sconfina nel territorio immaginario che ospita un’altra predisposizione profonda dell’umanità; la necessità di leggere i cambiamenti del mondo come leggessimo uno dei libri che riteniamo contengano la verità assoluta, la verità rivelata e/o oggettiva. Ciò accade anche se i cambiamenti non li vogliamo proprio comprendere né accettare, anche se davvero non aspiriamo neanche a padroneggiarne una parte, a gestirne qualcosa in termini misurabili e confutabili per l’intervento umano.
All’epoca dell’elogio del movimento di Balandier, la globalizzazione si chiamava ancora modernizzazione, le società si leggevano connesse tra loro dalla dinamica politica internazionale e dalle scelte dello sviluppo economico e tecnologico, la sensibilità generale si avvertiva attratta e sfidata dalle contaminazioni culturali, dalle ibridazioni delle situazioni sociali locali, e l’epidemia era quella dell’HIV.
Per definire l’Aids vengono usate formule forti: è una marea che “sale all’assalto delle società umane”, è l’“epidemia del secolo”, è la “nuova peste”, è la “causa della psicosi e del panico”, è una maledizione che alimenta “la paura del sesso”, è la “bestia immonda”, per citare solo alcune varianti. Il male entra di nuovo nella letteratura, facendo ricomparire il tragico e il mito. Esso evoca le immagini del corpo a corpo, del combattimento, diventando l’equivalente di una “terza guerra mondiale”, in cui i malati si trovano “sulla linea del fronte” e gli altri sono “quelli delle retrovie” (formule ispirate a E. Dreuilhe, Corps à corps, Gallimard, Paris, 1987). Mentre i media e i poteri pubblici si mobilitano per informare la gente, la ricerca scientifica e medica va avanti ed indaga al fine di identificare i virus e le loro varianti, di ricostruire i percorsi dell’infezione e le “popolazioni” alle quali conducono, di trovare i rimedi che rallentino il male in attesa di poterlo debellare. Le campagne di informazione e di prevenzione producono un mutamento nelle regole del comportamento amoroso. La volgarizzazione delle ricerche, dei loro risultati e del loro progresso, diffonde la razionalità opponendola ai fantasmi, allo sgomento, alla nuova irruzione della morte che la cultura della modernità aveva occultato. (…) Nessuna malattia, nessuna epidemia si è mai manifestata con una tale evidenza come figura del disordine insidioso, onnipresente, distruttivo, mal localizzabile e difficile da evitare nell’attesa dei mezzi per fronteggiarlo. Il male sembra nello stesso tempo essere e non essere presente, il che spiega come, al di là delle risposte organizzate (quelle scientifiche, quelle sanitarie e quelle di solidarietà), gli si oppongano reazioni contraddittorie. Per alcuni, questo disordine mortifero va contenuto attraverso delle barriere: controlli repressivi, segregazioni, esclusione. Altri, al contrario, sono indotti dalla negazione della realtà a dimenticare il rischio, a scacciare l’inquietudine, a giocare d’astuzia con la morte senza volerlo ammettere. (pp. 245-246)
Di certo, il mondo non torna “in ordine” con un’azione di forza, concertata d’autorità; perché un ordine umanamente plausibile del conoscere e dell’esperire, non si impone con atti di violenza epistemica operati in gran fretta sull’imponente movimento caotico, sull’imprevedibile movimento differenziato, ordinato e disordinate, che corrisponde a tutto ciò che emerge, circola e confluisce nell’inarrestabile marea della cultura di tutti, ovunque.
Chiediamoci quanto è cambiato il mondo dalla fine degli anni ‘80; cosa è cambiato davvero nella società? A domandarcelo oggi, alla fine del mese di aprile 2020, sono molte le risposte che abbiamo imparato a formulare: sui comportamenti personali, collettivi, sulle relazioni internazionali, sulla morale, il diritto, l’etica, le statistiche, gli investimenti e le produzioni multinazionali, le politiche di intervento e di non intervento, e al contempo, immediatamente le rifiutiamo un poco tutte queste risposte che ci tornano in mente in automatico, e che pure consideriamo documentabili, ripercorribili con un rapido elenco di parole chiave da inserire nei motori di ricerca in Internet. Di fatto la gran parte di tutto ciò, oggi ci appare anche come non verificabile, non comprovata scientificamente, ininfluente politicamente e quindi inutile socialmente parlando. In termini culturali poi, tutto è rimasto troppo rarefatto rispetto alla massa critica e densa dei comportamenti che contano e continuano a contare per il pianeta. Non ci abbiamo capito niente o non abbiamo voluto capire? Non ci è stato spiegato abbastanza o non abbiamo fatto niente di rilevante per arrivare a spiegare tutto il cambiamento? Ognuno è libero – si fa per dire – di farsi una opinione propria, ma la libertà di conoscere, di informarsi e di pretendere che politicamente si agisca di conseguenza, dov’è? Dove risiede se mai ha trovato cittadinanza nel nostro mondo in movimento?
BISLACCHI is Artist for a month on the diagonales
C’è un altro passaggio del libro che mi è particolarmente caro, laddove il pensiero di Georges Balandier si mescola a quello di Michel Foucault, con parole di grande forza espressiva ed esplicativa:
(…) com’è possibile la produzione di qualcosa di nuovo nel mondo? Il che equivale a darsi come obiettivo quello di rendere intellegibili i cambiamenti di regime nell’ordine delle cose, delle idee, delle rappresentazioni: di rendere intelligibili i passaggi. Identificare questi momenti, illuminare ciò che è problematico, giungere a riconoscere ciò che entra nel mondo senza che ne fosse già parte, significa aiutare l’esperienza umana a ridurre la coscienza del disordine e della perdita di senso. Significa procedere ad un lavoro che si realizza in due movimenti: trattare ciò che ha a che fare col passato, con l’“archivio” – compito al quale Foucault dedica la maggior parte delle sue opere – e considerare ciò che siamo come qualcosa che sta cessando d’essere: quindi analizzare, come si è appena detto, l’”attualità”, vale a dire ciò che stiamo diventando. (pp. 311-312)
Non vorrei perderle queste parole, mi accompagnano nei miei faticosi, forse inutili, anni di studio e di lavoro, pertanto le ho trascritte per The Diagonales, e così facendo non le ho soltanto affidate alla rete, dove certamente già navigano altrove dai miei pensieri e per altre possibilità di comprensione e differenti comunicazioni.
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